La Dipendenza dalla sofferenza

Una delle dipendenze più comuni che incontro nel mio lavoro di psicoanalista è la Dipendenza dalla sofferenza.

Questa forma di dipendenza appartiene alla personalità che vive perennemente in uno stato d’animo negativo, correlato da emozioni di rabbia, frustrazione, lamento continuo per lo più inconscio o quanto meno accettato da se stesso come una modalità naturale del vivere.

La dipendenza dalla sofferenza non ha niente a che vedere con il dolore che si prova per un evento traumatico vissuto o meglio ancora attraversato, ma il dolore può rimanere attaccato alla persona per tantissimo tempo e trasformarsi in un bisogno di sofferenza che si autoalimenta col passare del tempo, indipendentemente con la realtà della vita che la persona ha sottomano.

Successivamente, questo dolore rimanendo attaccato alla persona, si irradia e coinvolge anche gli altri, attirando a sé e intorno a sé molta sofferenza, rabbia, lamento e frustrazione.

Questa dipendenza funziona esattamente come le altre, come ad esempio la mania o meglio la dipendenza del controllo, si applica nello stesso modo, più vuoi vedere l’altro cosa fa e maggiori strategie di controllo ti verranno in mente per controllarlo, illudendoti ancora un’altra volta che se hai un controllo sulle cose, le cose andranno meglio, e così via…

Questo tipo di dipendenza dalla sofferenza è tra le più subdole perché inconscia, la persona non se ne rende conto, perché intrinseca di leggi morali e di “cultura del sacrificio” e continua a vivere una vita imbevuta di negatività e spazzatura.

La sofferenza è come una pala di un mulino a vento, più vento c’è più si autoalimenta con i no che si dicono alla vita per esperienze del passato che non si sono sapute trasformare e lasciare andare, quindi da forme di resistenza che la persona non sa neanche di avere.

La dipendenza dalla sofferenza quasi sempre trasforma la persona in una vittima o in un carnefice, il 90% delle volte in entrambe. Da qui emerge il bisogno di fare del male agli altri, la maggior parte delle persone crede di non fare mai del male a nessuno, ci crediamo tutti dalla parte giusta o al massimo nel ruolo di vittime mascherate, la società accetta maggiormente chi sta male.

Le vittime che subiscono dei danni reali solitamente non fanno rumore, il rumore è un altro modo per non guarire.

In questo, possiamo notare come il non essere consapevoli alimenta e nutre questa dipendenza.

Sono poche se non nessuna, le persone che in maniera consapevole, vogliono farsi trattare male ma sono moltissime quelle che inconsciamente fanno entrare dei vampiri dentro casa loro e offrono loro anche il the.

Mister Hyde ha bisogno di compiere del male agli altri e ci riesce mentre il dottor Jackyll è una persona intelligente che vuole aiutare gli altri eppure sono la stessa persona.

Ricordate sempre che la sofferenza, l’oscurità, l’ombra hanno il loro fascino ed è proprio questo fascino che crea dipendenza.

Bisogno di far male e bisogno di essere trattati male hanno lo stesso meccanismo psicologico: entrambi trattenengono energia vitale. Si deve fare in modo, di trasformare questo meccanismo da energia trattenuta a energia vitale, dove la voglia di vivere bene è la norma.

Quando andiamo in giro con chili di immondizia emotiva addosso non possiamo mai essere di beneficio agli altri, anche se questo è ciò che desideriamo.

Il bisogno di soffrire è uno dei bisogni più comuni che la società sta attraversando. Fate molta attenzione ai condizionamenti presenti nella vostra mente e alle emozioni ad esse collegate.

Bisogna iniziare a comprendere quando e come questo bisogno di lamento o di collera o insofferenza continua si manifesta, più ci accorgiamo quando accade e più diverremo consapevoli e di conseguenza meno dolore spargeremo in questa società.

La sofferenza può alimentarsi soltanto di sofferenza. La sofferenza non può alimentarsi di gioia, la trova indigesta.

Chi si lamenta non vuole stare bene, non sta bene e non ha piacere di circondarsi di persone che stanno bene, in ultimo non accetta neanche un aiuto che va in questa direzione perché vorrebbe dire rivoluzionare la propria vita.

“Una volta che la sofferenza si impadronisce di voi, voi ne sarete dipendenti”, spiega Eckhart Tolle. E’ importante essere consapevoli di queste dinamiche altrimenti la dipendenza da questo lamento di vita avrà sempre la meglio su di voi.

Disintossicarsi dall’inghiottire sacchi di sofferenza è un percorso per un osservatore oculato della propria esistenza.

Anche nella stanza dell’Analista il Paziente e il Terapeuta non devono entrare dentro questo circuito fagocitante, in quanto un’Analisi gestita male può anch’essa alimentare questo circuito di sofferenza che si ripropone continuamente.

Molti pazienti mi chiedono cosa devono fare, ed io rispondo: nulla. Non devi “fare” nulla perché in questo caso specifico “il fare” che molti intendono, diventa un altro modo per incartarsi nella stessa dipendenza. Ma il percorso analitico segue un’altra strada che in questo momento non possiamo approfondire.

Una cosa però può essere già chiara, quando iniziamo a uscire da questa dipendenza dalla sofferenza, usciamo dal nostro piccolo mondo narcisistico ed entriamo nel pieno della vita e la novità più evidente di questa trasformazione, afferma Emanuele Chimienti, è che ci troviamo più disponibili a nuove esperienze, nuove persone, nuovi paesaggi, una nuova e più aperta visione di noi stessi, una nuova e quindi differente visione delle persone già note, del mondo in senso più ampio.

Concludo mettendo in evidenza una parola: il peccato.

La parola peccato non è mai stata una parola piacevole nella mia vita perché imbevuta di significati terrorizzanti, ma se oggi dovessi dargli un significato nuovo direi che l’unico vero peccato che immagino è quello dell’antivita.

Il peccato è vivere male dentro il proprio piccolo mondo antico.

Vivere bene è un diritto di nascita che anche se non ci è stato donato, la vita stessa è costruita per donarci sempre uno spiraglio di luce al quale aggrapparsi per poter costruire un’esistenza piena.

Il vento della vita è il sì.

Dott.ssa Maria Grazia De Donatis

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Walking Therapy:a spasso con le nostre paure

E’ arrivata l’estate e le voglie di libertà aumentano, potrei elencarne tante ma oggi mi soffermo sul mio desiderio estivo di teatro all’aperto. Così l’altro giorno, dopo il lavoro, mi sono imbattuta in uno spettacolo che mi incuriosiva particolarmente per diversi aspetti: Walking thérapy,

Walking thérapie è il divertente format di teatro urbano, creato nel 2015 per il Festival Off d’Avignone, da tre estrosi teatranti belgi, Nicolas Buysse, Fabrice Murgia e Fabio Zenoni, i quali sono successivamente scesi a Firenze, chiamati dal Teatro Rifredi, per produrre questa versione italiana dello spettacolo, tradotta da Angelo Savelli con Gregory Eve e Luca Avagliano, attori straordinari. Lo spettacolo ha ottenuto uno straordinario successo di pubblico e di critica, registrando a oggi ben 80 repliche estive.

Due erano gli elementi che mi incuriosivano, il primo, avrei camminato con delle cuffie nel centro di Firenze, l’altro, che lo spettacolo “si occupava di un approccio terapeutico” ed io, come psicanalista ero quanto meno incuriosita, quando mi sarebbe ricapitato di vivere insieme a due regine dell’arte: il Teatro e la Psicoanalisi, sissignori la psicoanalisi è un’arte in quanto ha in sé estro, disciplina ed intuito.

Alle 20,30 mi sono ritrovata in una piccola via adiacente al duomo dove mi hanno fornito delle cuffie e uno sgabello leggero per potermi sedere durante il percorso, ma che idea formidabile, nei momenti di riflessione, sarei potuta stare comodamente seduta ascoltando il mio spettacolo solo dalle cuffie, cuffie potentissime che acuivano qualsiasi rumore esterno, impossibile non immergersi in un teatro a cielo aperto che è il centro storico di Firenze.


Gli attori sono, un ex paziente ora guarito, Luchino e il terapeuta Gregory, il quale dimostra a tutti che il suo metodo – la Walking therapy – è la soluzione ideale per guarire dai propri malesseri psichici.

Peccato che nel corso della passeggiata Luchino subisce una battuta d’arresto che porterà egli stesso, il terapeuta Gregory e l’intero gruppo, a riflettere sulle proprie paure e sulla possibilità di superarle, attraverso una vera e propria forma di guarigione che l’arte della commedia ha in sé come la risata, la riflessione e, in questo caso specifico, il movimento e la socializzazione.

E poi, diciamocelo, camminare per il centro di Firenze soffermandosi dentro piccoli angoli di storia eterna, non è terapeutico?

Ma cosa mi ha lasciato questo spettacolo?

Perché poi è questo che chiedo sempre ai miei pazienti ogni volta che termina una seduta; cosa portano con sé, in un sol punto, un pensiero dell’intera seduta.

Una delle prime cose che Luchino dice è che bisogna convivere con le proprie paure a partire dalla paura della morte. Questo mi ha colpito perché va subito, freudianamente parlando, al nocciolo della questione, l’angoscia. E cos’é l’angoscia, se non la paura che tutto finisca nel nulla. Una delle paure più grandi dell’essere umano è quella di non essere nulla, di non valere nulla e di non essere importante, quindi amato, paura che combina dei disastri colossali.

Questa è una paura tabù, come la chiamo io, quel tipo di paura di cui non si può parlare e che walking thérapy sa esprimere quando Gregory dice: “Non ne potete più di nascondere le vostre paure nel profondo di voi stessi e di essere costretti a recitare la parte di quello a cui va tutto bene. Vorreste guardala dritto negli occhi la paura e non attraverso uno schermo, affinché the fear becomes your friend, affinché la paura diventi nostra amica”.

Chi non ha nessuna paura è malato. Il punto non è infatti sconfiggere tutte le paure ma riconciliarsi con esse, convivere, trasformarle con cura ed attenzione per poter vivere in modo più armonioso. Non appena ci si riconcilia con la propria paura questa non ha più in pugno la persona. La rimozione della paura porta alla sclerotizzazione e consuma moltissima energia che impedisce di vivere in maniera autentica e vitale.

Siamo nati sani e spesso abbiamo scelto di vivere male per paura di… E chi tiene la propria paura sotto chiave, manca di energia per vivere, spesso si sente esaurito. Ed è per questo che la paura dev’essere trasformata, mutando in una sorgente di energia, di vita e anche di allegria. Così come è l’allegria di poter andare a teatro, di poter socializzare con l’Altro, perché ricordiamoci che “l’uomo è medicina per l’uomo” come dice un proverbio africano. E che le buone relazioni giovano alla nostra salute, Aaron Antonowsky, sociologo della medicina, fondatore della salutogenesi, parla del sistema immunitario sociale. Significa: chi vive all’interno di relazioni forti e sane, in una buona amicizia, in un matrimonio vivo, in una famiglia intatta, di solito gode di migliore salute. Il buon rapporto rafforza il suo sistema immunitario, non è così soggetto alle continue malattie e, quando si ammala, guarisce prima delle persone che sono tagliate fuori dai rapporti con gli altri e isolate. L’assenza delle relazioni disorienta l’essere umano, nella depressione quest’assenza di relazioni diventa espressione di una malattia.

Questi temi vengono portati, dal Terapeuta Psicoanalista Gregory e dal Paziente Luchino, con grande leggerezza, ironia e sensibilità verso se stessi e verso il pubblico dentro uno scenario unico nel suo genere, la città di Firenze.

Il Teatro Rifredi, ancora una volta, ha irrorato le radici dell’umano, innervando il rapporto archetipo che vive nella liaison, essere umano, teatro ed emozione.

dott.ssa Maria Grazia De Donatis, psicoanalista

ANCORA FREUD

Ancora ogg,i nel giorno dell’anniversario della morte di Sigmund Freud 23 settembre 1939 e dopo 17 anni di onesta professione, come dicono alcuni, mi chiedo ancora come donna psicoanalista che cos’è l’inconscio e come esso possa essere definito.

A parte le definizioni comuni che troviamo ovunque, l’inconscio non è definibile se non attraverso un lavoro sul proprio di inconscio. Definire l’inconscio significa definire la Persona e nel momento in cui definiamo la Persona abbiamo definito una parte della vita. La vita è e diviene, la Persona è e diviene, il suo inconscio è e diviene, e cambiando si trasforma in consapevolezza.

L’inconscio è una scoperta, che per chi la la vuole cogliere durerà per tutta la vita. Questo potrebbe indurvi a pensare che la psicoanalisi è solo un metodo, lungo, lunghissimo che dura per sempre.

Il percorso psicoanalitico dura il tanto che basta per aiutare il Paziente a compiere un processo di autoanalisi che durerà per tutta la sua esistenza.

Il percorso psicoanalitico è un percorso di dialogo interiore che mette in relazione le più svariate parti interne del paziente, le più conflittuali, entrando in un dialogo interno e diventando parte di un unico organismo vivente, vale a dire,

il proprio Io.

Il  7 dicembre 1938, la radio BBC fece visita a Sigmund Freud nella sua casa ad Hampstead, nel nord di Londra. Freud si era trasferito in Inghilterra solo qualche mese prima per sfuggire all’annessione nazista dell’Austria. Aveva 81 anni e soffriva di un incurabile cancro alla mascella. Pronunciare ogni parola era un’agonia.

Meno di un anno più tardi, quando il dolore divenne insopportabile, Freud chiese al suo dottore di somministrargli una dose letale di morfina. La registrazione della BBC è l’unica audioregistrazione conosciuta di  Freud, il fondatore della psicoanalisi e una delle più rilevanti figure intellettuali del XX secolo.

Con le sue parole mi piace salutarvi oggi e sentire che quella tensione emotiva che il padre della psicoanalisi ci ha lasciato è ancora viva e vigile in me e in tutte quelle persone che lavorano con il proprio inconscio.

“Ho iniziato la mia attività professionale come neurologo provando a portare sollievo ai miei pazienti nevrotici. Sotto l’influenza di un vecchio amico e i miei propri sforzi, ho scoperto alcuni nuovi e importanti fatti sull’inconscio nella vita psichica, sul ruolo dei desideri istintuali, e così via. Da queste indagini è cresciuta una nuova scienza, la psicoanalisi, una parte della psicologia, e un nuovo metodo di trattamento delle neurosi. Ho dovuto pagare un prezzo pesante per questo poco di fortuna. La gente non credette nei miei fatti e trovò le mie teorie disgustose. La resistenza fu dura e inesorabile. Alla fine sono riuscito a procurarmi allievi e a costruire una società psicoanalitica internazionale. Ma la lotta non è ancora finita”. Sigmund Freud.

Foto dell’agosto del 2017 durante la mia visita nella sua casa di Londra nell’Hampstead al civico 20 di Maresfield Gardens.

L’eredità nascosta

“Amici, come avrete visto il mio papà non c’è più. Non posso rispondere ai vostri tanti messaggi che vedo arrivare, perché sono in mezzo al mare e abbiamo appena fatto un salvataggio – scrive Cecilia Strada condividendo l’immagine di orizzonte non troppo lontano – non ero con lui, ma di tutti i posti dove avrei potuto essere…beh, ero qui con la ResQ – People saving people a salvare vite. È quello che mi hanno insegnato mio padre e mia madre.Vi abbraccio tutti, forte, vi sono vicina, e ci sentiamo quando possiamo”

Il messaggio e soprattutto l’azione di Cecilia Strada è quanto di più sano e amorevole si possa dire davanti alla perdita di un padre. Il padre lascia l’eredità al figlio affinché ne faccia tesoro ma per farne tesoro paradossalmente non deve dipendere dal lascito.

Cecilia Strada ha imparato ciò che i genitori le hanno insegnato e lo dimostra vivendo, lo dimostra vivendo altrove rispetto a loro, in questo caso al padre in particolare in quanto la madre non c’era già più.

Cecilia Strada non perde tempo su Facebook durante il giorno, si occupa di vite, non per questo è un’eroina ma è questo quello che sceglie di fare.

Cecilia Strada ha avuto un buon padre, un padre che le ha insegnato “delle cose” e non l’ha ricattata “con delle cose”.

Non le ha comprato una casa, sotto spinta continua della madre, per poi ricattarla come spesso accade nelle famiglie italiane.

Chi fa un regalo non deve mai avere un secondo fine soprattutto un genitore verso un figlio che in uno stato di necessità, spesso più emotivo che materiale non è in grado di dire di no. Chi fa un regalo non deve chiedere nulla in cambio, altrimenti è solo manipolazione narcisistica dettato dal proprio bisogno di sentirsi importante in un mondo dove si sente vuoto.

Il genitore Gino Strada ha fatto una figlia e si e si preoccupato che sua figlia imparasse un mestiere, la figlia riconosce il padre proprio per questo amore e non per i lasciti. L’ego vuole sempre qualcosa dagli altri, quello che ha non è mai abbastanza, si insinua così una certa avidità nell’avere cose per poter soddisfare desideri di riconoscimento che non saranno mai appagati.

L’eredità è sempre di sentimenti e quando questi non ci sono allora il denaro e i ricatti hanno la meglio.

Il padre insegna la libertà del futuro ai propri figli, la capacità e l’abilità di cavarsela nella vita senza il bisogno di correre indietro a chiedere aiuto, insegna la fiducia di farcela con le proprie gambe verso il futuro.

Il padre dà al proprio figlio per dare una spinta non per farlo tornare indietro per idolatrarlo.

I figli che non si staccano dai propri genitori non solo non saranno mai persone complete e mature ma vivranno da insicuri, con dubbi e un’ansia ontologica credendo che senza il parere del genitore, che è sempre meglio del proprio, non possano prendere delle decisioni buone per se stesse.

Il figlio deve imparare a autodeterminarsi, a fare scelte autonome andando oltre la paura di sbagliare, il figlio deve andare in avanti se vuole avere il proprio posto nel mondo e il proprio posto è stato dato per diritto di nascita dalla vita ma ciò si comprende solo se si è autonomi.

Cecilia Strada è stata una figlia fortunata perché ha avuto un padre che non è stato schiavo della società borghese, dei falsi ideali, ha messo le mani dove servivano e ha usato la parola solo per denunciare il male e il male non si denuncia con le buone maniere.

Il mio saluto affettuoso va a te Cecilia che non hai perso un padre perché è dentro di te.

La vita què es

La pandemia ha slatentizzato l’angoscia di morte e comprese molte forme diversificate di ipocondria, (che ricordo essere una psicosi) per troppo tempo soffocate da una società narcisistica ed edonistica dove il rapporto con la morte non può essere vissuto in quanto visto come ostacolo al proprio divertimento tout court invece che come parte integrante della vita per una crescita individuale e collettiva della Persona.

La morte è parte della Vita e non contro la Vita.

Questo virus, che ora speriamo possa essere dietro e non davanti, non deve come molti sostengono, averci insegnato qualcosa ma può esserci stato d’aiuto per comprendere che l’unica vera esperienza che possiamo fare è vivere, vivere, vivere, non pensare alla vita.

Il progetto della Vita sta nelle cose della Vita. Lo Spirito stesso sta nella materia della vita e non per aria o nelle orazioni. È come se le orazioni fossero dei fiori meravigliosi da adorare ma poi ciò che conta davvero sono i frutti che si possono mangiare e quindi le azioni.

Io ancora non ho idea di che cosa mi abbia insegnato questo CoronaCaos, come l’ho chiamato un anno fa nel mio libro, “CoronaCaos:storie di follia ordinaria”, ci sono ancora dentro, ma questa esperienza mi è più chiara su un punto, ciò che conta è il Potere di Adesso.

Motivo per cui createvi una vita bella da vivere perché ciò che la mente nega, il corpo lo spiega e spesso il lo cuore tace.

Amici, spalancate le porte alla vita e se anche entrerà un po’ di erbaccia non preoccupatevi più di tanto, tutti abbiamo in casa una scopa.

Non rinunciate alla vostra libertà per paura della malattia perderete la libertà ma non la malattia.

La paura in questo momento, può far fare qualsiasi cosa, in una situazione del genere possono anche aumentare omicidi, suicidi e in generale episodi di violenza.

È importante essere consapevoli e rimanere nel presente e non guardare video o notizie che inducano paura o violenza.

Smettiamola di parlare continuamente della Pandemia, ripetere la stessa cosa ancora e ancora è un auto ipnosi.

La paura è un’auto ipnosi.

Questa idea causerà cambiamenti cellulari nel nostro corpo. Ricordiamo ciò che Veronesi diceva dei tumori, che una delle concause dell’insorgere delle cellule concerogene era da scorgere nelle grandi tristezze.

La natura, l’arte, l’allegria, la meditazione e il movimento sono antidoti eccellenti contro la paura. Essi creano un’aura protettiva che non permettono al cercatore di energia negativa, i cosiddetti vampiri energetici, di entrare nella vostra vita.

Se sei presente a te stesso eviti il buco nero.

La paura è una sorta di follia e prova il fatto, che la vita è vissuta nel modo sbagliato.

La morte non è un problema per chi vive la propria vita ogni momento.

La paura non risolverà nulla e non c’è cura per la morte.

Se non muori di pandemia, allora dovrai morire comunque un altro giorno, e quel giorno può essere da un giorno all’altro come è accaduto a quei ragazzi sulla funivia.

Ecco perché l’unico modo per essere pronti alla morte e non abbattere la vostra vita.

Ora, torno alle “mie cose” sto per atterrare a Bologna, il volo è stato semplice e mi aspetta una bella passeggiata all’aria aperta.

Ah, che sospiro di sollievo!

Non fare mai che le difficoltà e il male superino te stesso

Noi tutti siamo più grandi delle nostre ferite.

Quando il nostro corpo e la nostra mente sono sotto stress come in questo momento storico, il desiderio più o meno consapevole di abbandonarsi, di lasciare che il flusso degli eventi ci trascini in un limbo in attesa di tornare a vivere, è molto frequente.

I giorni passano, molti dei quali sempre uguali, confinati in nome o in virtù di informazioni, dati e meccanismi sempre meno chiari. I giorni passano e diventano mesi, diventano tempo trascorso e tu diventi un senza tempo, un tempo sospeso. Un cavallo di razza confinato dentro un recinto che ci ti fa perdere senso e senno. L’apatia diventa una coperta emozionale,un rifugio dove nascondere tutti quei sentimenti che non si vogliono provare, ma che in realtà nella parte più profonda di noi sono presenti.

Per me psicoanalista il webinar è l’antitesi all’incontro individuale non l’antidoto. Il telefono ha sostituito tutto, tranne l’incontro. L’illusione che la videochiamata possa sostituire un incontro è come l’ansiolitico che nel momento in cui lo si assume placa l’ansia ma il giorno dopo si ha bisogno di altre gocce perché non si è risolto il conflitto che l’ha generato. Nell’incontro Analitico esiste un prima, l’ incontro e un dopo nel quale si dovrebbe a lungo meditare, riflettere, riorganizzare le idee, pensare, funzione che ricordo viene prodotta solo in solitudine.

Il fattore terapeutico è l’incontro. Se non ci si incontra non si può stare bene. Le persone devono tornare a incontrarsi, incrociarsi conoscersi nei luoghi, sul treno, in palestra, fuori dalla scuola. Devi poter tornare a casa stanco non essere stanco in casa, non è umano.

Con il telefono puoi fare tutto ma puoi farlo male. Non puoi fare l’aragosta flambé se a casa hai solo delle verdure, al massimo fai un minestrone e così non muori di fame. Il senso del limite non è una cosa facile e difficilmente si apprende con entusiasmo. Devi fare quello che il contesto ti permette di fare ma al tempo stesso devi stare attento a non fare ciò che il contesto ti induce a fare e cioè a vivere da addormentato.

Ciò che si confida nell’incontro difficilmente verrà detto davanti a uno schermo perché quell’intimità, quella corporeità emotiva non si intravede, non si vive, non ci si tocca. Il web è uno strumento, utile e innovativo ma un’applicazione non può sostituire una palestra, un teatro, il suono di un violino, il chiasso di una classe, la visita a una città d’arte, il bagno al mare men che meno il rapporto terapeuta paziente.

Uscire da questa nebbia mentale è la strada per non cadere in stati depressivi, esci, esci tutti i giorni, cammina, respira sententi vivo. Non lasciare che la tua mente utilizzi la sofferenza per poterti poi creare una nuova identità dove ti senti vittima.

Non dispiacerti troppo per te stesso e per il contesto, reagisci, muoviti sempre un pò di più, produci uno sforzo attivo nella tua mente e nel tuo corpo. Non perdere tempo a lamentarti con altri delle tue sofferenze, canalizza la tua rabbia nella creatività e nel tuo corpo, usalo anche solo per cantare ma usalo.

Dal momento che è impossibile sfuggire a questo momento storico, l’unica possibilità di cambiamento che hai è di attraversarlo, passaci dentro da vivo non da automa e appena puoi corri e incontra l’Altro ed entrambi sarete felici della vostra Amicizia.

La violenza del tempo lacera l’anima, dice Simone Weil, ed è attraverso quella lacerazione che entra l’eternità.

E quando arriva la notte, dico io, fa che il tuo cuore sia ardente, così non sarà colpito dal gelo.

Mi scusi se insisto…

Lo so Lo so è un momento difficile, oggi una mia cara amica mi ha detto che la sua vicina di casa è in ospedale con il Covid e se la sta passando molto male, ha sempre fame d’aria.

Anch’io Signor Presidente ho fame d’aria, è un’aria diversa ma è aria. Il mio respiro si nutre di cultura, di arte, di teatri, di cinema e tutto questo sono certa che mi aiuterebbe a superare meglio questo momento terribile. Se il teatro o il cinema fossero aperti solo per le pomeridiane avremmo un pò di respiro, sì respiro. Il teatro è un’ottima terapia contro l’angoscia e in molti ci andrebbero.

Lei potrebbe dire che prima di questa pandemia i teatri vivevano una forte crisi e che ormai non c’era molta gente, certo era proprio così.

Ora il Governo ha chiuso tutto, bar, ristoranti, negozi, centri commerciali, ma provi a lasciare aperti i teatri. Un esperimento sociale che non aggraverebbe di certo sulla pandemia. In molti andrebbero, sì andrebbero perché pur di uscire andrebbero anche a teatro anche se non ci hanno mai messo piede. La gente si adatta, se i ristoranti sono chiusi allora andranno dove è aperto. Le misure di contenimento per i teatri sono state molto efficienti e il pubblico ha risposto in maniera ordinata. Anche il teatro è un lavoro, non è un diversivo. I lavoratori del teatro che vadano a lavorare come gli altri, con le regole e rispettando il coprifuoco serale, ma che lavorino.

Ma Lei si rende conto che è morta anche la fame di cultura perché è morta la cultura, il senso critico, il desiderio di sognare. Senza il sogno non mangeremo, perché non avremmo l’immaginazione per uscire da questo disastro, non avremmo l’idea di un futuro perché non saremo in grado di realizzare il pensiero del futuro.

Provi a sognare con me per un momento Signor Presidente, sogni di entrare a teatro per poco più di un’ora e mezza, in completo silenzio, raccolto, ognuno con se stesso ma senza sentirsi solo. Si apre il proscenio e Il Sognatore di Notti Bianche di Dostoevskij voltandosi verso Nastenka afferma: “Che il vostro cielo sia luminoso e che il vostro dolce sorriso possa essere sereno per l’attimo di felicità che mi avete regalato: un intero attimo di felicità, è forse poco nell’intera vita di un uomo?”

Notti bianche sono quelle 5 notti dove a San Pietroburgo il sole non tramonterà mai del tutto, illuminando il cielo anche di notte. Un lucore costante. Se vogliamo che il sole non tramonti mai del tutto dobbiamo avere il coraggio di afferrare l’inafferrabile, l’Arte. Dobbiamo avere il coraggio di sognare. Nello spettacolo Il Sognatore, preferisce il sogno alla realtà, perchè la realtà non è mai quella che ci aspettiamo, quella è la routine. Egli esclama: “Com’è ripugnante la realtà! Che cos’è in confronto al sogno!”

E questa realtà di adesso non è ripugnante perchè esiste una pandemia in corso, almeno non solo, ma anche perchè dobbiamo continuamente misurarci con la complessità delle cose. O Tutto è meraviglioso o tutto è un disastro dove vivere. Non perchè viviamo nell’era del Covid non possiamo sognare, certo chè è difficile muoversi come un acrobata, perchè i gesti di un acrobata possono sembrare esagerati, a volte lo sono, ma quell’esagerazione è anche un modo per mantenere l’equilibrio sul filo del dirupo della propria mente. La sanità e l’igiene mentale di questo momento passano attraverso quel filo e tutti noi oggi dovremmo imparare a muoverci come degli acrobati nella complessità della vita..

Servono stimoli, suggestioni, arte, serve la funzione del sogno e del futuro, serve dare spazio all’immaginazione e all’intuito. Solo il teatro permette di vedere il proprio pensiero realizzato in un altro essere umano in carne ed ossa, solo il teatro esprime i sentimenti e le angosce di tutti dal vivo e in diretta e in diretta fa pensare dando a tutti la possibilità di trasformare il pensiero in crescita individuale. L’opera teatrale è immediata perché umana e non filtrata da un video. Noi prima di essere pensiero siamo corpo ed è in quel corpo che si realizza il pensiero. Non esiste un pensiero senza un corpo.

Signor Presidente, il mio scopo nella vita è aiutare gli altri, e tutti i giorni adempio alla mia professione con grande rigore scientifico, e con altrettanto rigore ho desiderio di ricominciare a sognare, perché so che sognare è il modo migliore per rimanere vigili nella vita, forse è vero… non di solo pane vive l’uomo.

Buon lavoro Presidente, i miei migliori auspici in un momento così terribile, io domani, nel mio piccolo, tornerò a contenere l’angoscia dei miei Pazienti, che ogni giorno lottano, ed io insieme a loro, per trovare una base dove aggrappare l’angoscia, io non potrò contenere tutto ma l’Arte sì, l’Arte questa funzione ce l’ha. Ri-Animi l’Arte Presidente, Le dia un’Anima nuova, in molti saremo con Lei ad avere ossigeno nuovo nei polmoni del nostro Vivere.

Moscow, Russia- Piazza Rossa, 26 dicembre 2017

Ti aiuto?No, grazie ce la faccio da solo

Nasciamo tutti dipendenti, nasciamo da qualcuno che non siamo noi. Nasciamo da un corpo che non è il nostro e dal quale per un motivo o per l’altro ci dovremo fare i conti per tanto tempo. La maggior parte delle persone ha paura di diventare dipendente da qualcuno, la loro paura è dettata dal loro bisogno di esserlo.

Io non ho bisogno di nessuno, ce la faccio da solo, quante volte è nato dentro di noi questo sentimento di ribellione e quante volte non l’abbiamo saputo gestire a causa di un orgoglio ferito, di una ferita narcisistica non sanata è così che la persona nega l’attaccamento rifiutandolo invece è ciò a cui anela di più.

Questa contro-dipendenza affettiva può sfociare in un delirio di onnipotenza, il moto che nasce è posso fare tutto da solo, non ho bisogno di nessuno, nessuno mi capisce, anzi da solo sto meglio! Quando questo sentimento vi pervade con rabbia o costrizione ponete attenzione a voi stessi perché questa dipendenza può sfociare in un isolamento emotivo e sociale o nel tempo, con una depressione.

Questa forma di dipendenza dalla non dipendenza, quindi dalla paura di dipendere trova le sue radici nell’infanzia, quando all’età di 2- 3 Anni il bambino sperimenta la fase del No. Il No dettato dalla madre o dalle figure di riferimento e la paura del bambino di staccarsi o meglio, dall’incapacità del genitore di aiutarlo a staccarsi con amorevolezza. Il bambino così può avere i primi blocchi e rispondere all’angoscia con i capricci. Diventa la ribellione un atto per proteggersi dal dolore e lenire una ferita che con il tempo invece di cicatrizzarsi si riattiva ogni qual volta che ci sente prima attaccato, poi rifiutato e alla fine abbandonato.

Il bambino che si è sentito rifiutato, eviterà poi da adulto, di instaurare rapporti profondi. I legami possono essere duraturi ma non è detto che siano profondi. Non instaurerà legami per paura di sperimentare un rifiuto, imparerà ben presto a badare a se stesso, a contare sulle proprie forze, a non chiedere aiuto vivendo l’aiuto come una vergogna, come qualcosa che lo rende vulnerabile e che poi dovrà anche risarcire. Preferirà, da grande, fare le cose per proprio conto contando solo sulle sue forze. Tenderà a non sentirsi comodo nelle relazioni più strette, ogni volta che qualcuno non andrà incontro alla sua misura si sentirà soffocare e si chiuderà di nuovo. Nella contro-dipendenza affettiva questo tipo di persone non riusciranno a concepire che la loro felicità possa dipendere da qualcun altro.

La contro-dipendenza Affettiva, che fa il palio con la dipendenza affettiva, dove in entrambi i casi, essendo queste due realtà, gli estremi opposti della stessa problematica, si andrà in contro a grave e cronica difficoltà ad accedere all’arcobaleno delle proprie emozioni, non riconoscerle e molto spesso. In questo sistema emotivo si è convinti che siano gli altri che ‘non capiscono…’ gli altri Sono i colpevoli del proprio disagio. Gli altri sono i colpevoli nella misura in cui, glielo si permette per accusarli successivamente, delle loro mancanze nei nostri confronti.

La verità è che le cose difficilmente sono come sembrano e ogni volta che diciamo: ’io non ho bisogno di nessuno’ stiamo congelando il nostro cuore, negando i bisogni più profondi. Ci si sente vulnerabili nello scoprire il bisogno dell’amore dell’altro bisognosi del suo affetto o compagnia. Da questa realtà, si può uscire in punta di piedi, con passi da bimbo con un grande sforzo e pazienza verso se stessi, per poter, col tempo, far crollare le proprie corazze accettando che tutti noi sentiamo il bisogno profondo di sentirci amati.

Abbiamo bisogno di sperimentare e creare delle relazioni affettive dove i rapporti siano o diventino bilanciati in cui il dare e il ricevere possano vivere in armonia. Imparare a rimanere nella relazione creando un rapporto di fiducia, fidarti che l’altro non stia con te per fregarti o per ottenere qualcosa, se questo accade vuol dire che noi glielo stiamo permettendo.

A volte donare non è un gesto pulito ma un modo sbagliato per sentirci migliori, non più generosi ma superiori. A volte, l’essere donartivi, se non è scevro da secondi fini anche inconsci, può ed è una trappola, la trappola del sentirsi migliori, e ogni volta che abbiamo questo bisogno sotteso allora significa che ci sentiamo meno.

Non aver bisogno di nessuno è solo una maschera narcisistica per giunta tra le più noiose e meno divertenti. Come psicoanalista ho scoperto anch’io, dopo anni di duro lavoro sulla mia persona, quanto stare lontano dalla vita e dalle persone ha solo due sfumature o bianco o nero, ho scoperto col tempo quanto amo i colori, quanto mi diverte stare in mezzo alle cose della vita e se ho imparato una cosa è che I rigidi contesti giudicanti possono stare alla larga dal momento che riattivano solo tonalità infantili tra le più paurose. Quando hai bisogno di dimostrare qualcosa a qualcuno lì le tue forze verranno meno, solo il pensiero rende l’animo debole. Le fantasie di risarcimento non hanno mai risarcito di alcunché e non bisogna mai dare il fianco a questa parte di noi. Non sono loro i nostri giudici. La patente per diventare grandi non te la da il Santo Uffizio. La libertà comincia ad esserci come istanza psichica, quando te la prendi, non quando ti viene data (es. adolescente che si ribella al genitore).

Impariamo a a dis-cernere, dandosi tempo per ogni cosa, distinguendo con lucidità e chiarezza le proprie tonalità emotive.

E visto che nella vita, siamo tutti parti di una interdipendenza, allora voglio dipendere dalle persone miti, da quelle gentili, voglio dipendere da quelle persone che non cambiano idea su di te quando non le servi più, voglio dipendere dalle persone allegre, da quelle che quando cadono non dicono, si vabbè ma è colpa tua, voglio dipendere da quelle che non si nascondono dietro ai buoni sentimenti perché l’inferno è lastricato da buone intenzioni. Voglio dipendere da chi dice scusa, da chi si accorge che chiunque di noi provoca dolore all’altro e non è solo una vittima. Voglio dipendere dal Bello e dal Buono, dalla natura delle cose e da chi quando si alza la mattina capisce che è vivo.

E’ da questa maturità affettiva che nasce l’autonomia.

La libertà è dentro le cose, non fuori.